TERAMO – L’orologio del delitto della pittrice Renata Rapposelli torna indietro fino al 9 ottobre 2017 e in aula, dinanzi alla Corte d’Assise di Teramo presieduta da Flavio Conciatori, si torna a ragionare sul filo delle mezz’ore. E’ il pomeriggio di quel lunedì quando la giovane istruttrice di nuoto della piscina sotto all’abitazione del residence è seduta sulla panchina e attende il suoi turno di lezione. Mente gioca con il telefonino, sente distintamente, e quasi si vergogna di condividerlo con alcuni genitori che accompagnano i figli a nuoto, quella voce maschile che urla: "Sei una puttana, sei una troia, non ci sei mai stata e adesso che ritorni credi di riprenderti tutto?". I giudici chiedono alla teste dell’accusa di essere più chiara, ma lei riesce a ricordare solo che c’era anche una voce femminile ma più sommessa e sicuramente sopraffatta dall’altra. E’ la testimonianza che secondo il pubblico ministero Enrica Medori fissa la lite tra madre (Renata Rapposelli) e figlio (Simone Santoleri), alla presenza dell’ex marito e padre Giuseppe: collocata attorno alle 16:40 di quel 9 ottobre, potrebbe resistere anche ai tentativi di demolizione delle difese dei Santoleri. E’ già passata indenne ad un’altra testimonianza, seguita a quella dell’istruttrice e protrattasi per oltre un’ora e mezza, quella di Cinzia Cambi, la donna toscana, coetanea della vittima, con cui Simone Santoleri ha una rlazione e che va spesso a trovarlo nel carcere di Lanciano dove è detenuto. La donna ha ricostruito il contatto avuto con Simone quel 9 ottobre, alle 15:02 (e dunque un’ora e mezza prima della lite ascoltata dall’istruttrice): al telefono Simone era stato più breve del solito, non aveva fatto riferimento alla presenza della madre in casa, cosa che fa soltanto il giorno dopo, e la chiamata dura ‘appena’ 20 minuti. E’ la pm a stimolare la risposta chiara: "Avete litigato? Ricorda di essere stata apostrofata come puttana?". "No, assolutamente, al massimo mi dava della malata di Alzheimer" è stata la replica che eslude la possibilità che quella lite fosse con lei al telefono e non con la madre in casa.
Anche con la nuova compagna, conosciuta su una chat di giochi e che viene a trovarlo a Giulianova almeno una volta al mese, Simone parla della sua infanzia sofferta, sottolinea quel senso di abbandono e di quando "a 8 anni dormiva alla stazione e i barboni gli davano da mangiare". Ma ricorda anche che quando gli racconta della lite con la madre veuta a Giulianova da Ancona, il motivo erano i soldi: "Mi disse che era arrabbiata per gli arretrati che non le pagavano e che quando aveva notato i lavori fatti dentro casa ne aveva chiesti di più…". C’è poi quella ricerca fatta in Internet sul giallo di Roberta Ragusa, la donna scomparsa in Toscana e per la cui morte è stato condannato in due gradi di giudizio (domani è prevista l’udienza in Cassazione) il marito Antonio Logli: l’ha scovata la perizia sul pc di Simone ma è la Cambi a chiarire che era stata lei a farla, il 27 ottobre quando era tornata a Giulianova, prima del ritrovamento del cadavere: La donna ha spiegato che voleva far capire che spesso le persone scomparse possono restare tali per molto tempo, mentre Simone credeva che la madre si fosse ritirata in qualche convento per pregare. Ma sono diverse le convizioni (e contraddizioni) di Simone sul destino della madre: ad una cara amica di Torricella, che aveva fatto di tutto per rivedere Simone a distanza di una ventina di anni dalla loro frequentazione, l’imputato avrebbe detto che "aveva combinato qualcosa il padre”, rispetto alla scomaprsa della madre. Adesso è tempo di perizie, che occuperanno lo spazio della pausa estiva del processo. Giovedì la Corte d’Assise affiderà quelle psichiatriche ai consulenti Giuseppe Cimini e Giuseppe Orfanelli, poi saranno gli investigatori dei Ris a raccontare cosa hanno raccontato a questa vicenda giudiziaria i rilievi effettuati su abitazione, auto e luoghi.